giovedì 27 ottobre 2016

Monitoraggio fetale in travaglio di parto

La prudenza non è mai troppa e per evitare problemi è possibile effettuare un monitoraggio fetale anche durante il travaglio di parto ovvero quando giunge il momento di entrare in sala parto.

Sull’addome della donna si pone uno strumento chiamato cardiotocografo che attraverso due sonde permette di tenere sottocontrollo la situazione: una è ad ultrasuoni, come quella dell’ecografo, per rilevare il battito del feto. L’andamento dei battiti viene trasmesso all’apparecchio e il risultato viene stampato e studiato.

L’altra sonda è indispensabile a misurare le contrazioni uterine della mamma; si fissa con una fascia sull’addome e si crea un collegamento con l’utero. Grazie al cardiotocografo tutti questi dati della mamma e del feto vengono registrati contemporaneamente e stampati su carta.

Perché eseguire il monitoraggio fetale durante il travaglio?

monitoraggio fetaleE’ importante conoscere in tempo reale la salute fetale, perché si riesce a valutare meglio le singole fasi.

Se il battito è irregolare e variabile nel corso dei minuti significa che il neonato sta bene; se, al contrario il battito è veloce con repentine decelerazioni vuol dire che il neonato potrebbe essere stressato e avere dei piccoli problemi.

A questo punto va accertato se siamo nella fase iniziale, poiché in questo caso non c’è da preoccuparsi, altrimenti va analizzata la situazione più cautamente. Comunque potrebbe trattarsi anche di un fenomeno di natura fisiologica e, dunque, non dovrebbe destare preoccupazione; saranno l’ostetrico e l’equipe a valutarlo.

E se il parto è gemellare?

Vi sono appositi apparecchi per la cardiotocografia in grado di misurare contemporaneamente il battito cardiaco di entrambi i feti.

I cardiotocografi sono muniti di una sonda che rileva le contrazioni dell’utero e di due sonde a ultrasuoni che misurano il battito. Queste vengono applicate sull’addome della partoriente e in prossimità della schiena dei due gemelli.

Nel tracciato cartaceo si osserveranno tre linee: una corrisponde alle contrazioni e le altre due indicano le frequenze cardiache. In caso di parti plurigemellari le operazioni potrebbero complicarsi e gli operatori potrebbero trovare alternative più sicure.

Ad ogni modo, questo monitoraggio è raccomandato in particolare se, una volta arrivati a termine, il bimbo non sembra voler venire alla luce, poiché è possibile comprendere il perché il nascituro stenta a venir fuori.

Inoltre emergono gli ostacoli che sta incontrando nel percorso che lo dovrebbe portare nel canale di parto e dunque si conoscono gli eventuali rischi per la salute del nascituro e della madre.

Non esistono linee guida che stabiliscano la frequenza con cui vanno ripetuti questi controlli. Spetta al medico decidere, in base all’esito dei primi risultati e allo stato di salute generale della gestante e del feto.

Se si volesse comunque sottolineare l’unico aspetto negativo del monitoraggio, andrebbe detto che spesso le risposte fanno pensare a “falsi positivi”, che a loro volta spingono gli specialisti ad intervenire con il taglio cesareo anche se si sarebbe potuto evitare.

Come è fatto il cardiotocografo?

monitoraggio fetale cardiotocografoCi sono due tipologie, l’una tradizionale e l’altra di nuova generazione: nel primo caso i cavetti sono collegati alla mamma e allo strumento mentre la donna deve rimanere seduta o sdraiata; nel secondo caso le sonde poste sull’addome e in utero sono collegate via radio all’apparecchio.

L’aspetto più positivo è che la mamma può mettersi nella posizione più comoda e può persino camminare senza che i sensori possano essere “distratti”.

Altri cardiotocografi sono stati programmati e configurati per il travaglio e il parto in acqua. Questi ultimi sono talmente sofisticati che non sono comuni e richiedono mezzi e strutture che non tutti hanno; così come i costi che sono altissimi scoraggiano medici e pazienti.

Quali sono i metodi clinici e biochimici per il monitoraggio fetale durante il travaglio di parto?

Iniziamo dalla valutazione del liquido amniotico.

Al momento della rottura del sacco amniotico, il liquido ha un aspetto limpido o lattescente che indica un benessere fetale; se il liquido avesse un altro colore, andrebbe valutato se si è in presenza di sofferenza fetale o se è dovuto alla posizione podalica del feto. E’ rilevante annotare come il liquido si presenta, in generale, ed appurare se il feto non riceve ossigeno sufficiente.

Per quanto riguarda i metodi biofisici, nella pratica clinica si esegue un tracciato cardiotocografico al momento dl ricovero che ha una durata di 20 o 30 minuti per evidenziare eventuali future complicanze per il feto. Una volta accertato che il feto è sano, il monitoraggio può essere ripetuto ad intervalli regolari o può essere continuo a discrezione dello specialista.

Cosa fare in caso di monitoraggio fetale poco chiaro che suscita dubbi?

Sarà lo specialista a valutare se è il caso di approfondire i dati e a decidere ulteriori accertamenti eseguibili attraverso un’ecografia o la flussimetria doppler per misurare lo scambio di ossigeno tra feto e placenta.

Per ridurre i “falsi” positivi si può procedere all’ossimetria pulsata fetale (misurazione dell’ossigeno fetale nel sangue), metodo non invasivo, l’elettrocardiogramma fetale ed infine un prelievo di sangue fetale, che viene raramente effettuato per la sua invasività.

Il monitoraggio fetale elettronico, introdotto sin dagli anni ’80, ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato, ovvero riesce a ridurre l’encefalopatia del nascituro durante il travaglio, che risulta essere uno dei rischi più frequenti.

Pur essendoci linee guida precise riguardo a come comportarsi in caso di alterazioni cliniche, biocliniche o biofisiche dei parametri di valutazione relativamente al feto, il più spesso si ricorre al taglio cesareo per non far correre rischi a nessuno degli attori, la partoriente, il nascituro ed infine l’ostetrico e ginecologo.

Fonte:

Manuale di Sala Parto a cura di A. Valle

 



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/monitoraggio-fetale/

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